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Autore: silvia

Cocker Spaniel

1. Origini e storia della razza

Il Cocker Spaniel è una razza di origine inglese, appartenente al gruppo dei cani da riporto e da cerca. Il nome deriva dal termine woodcock (beccaccia), uccello selvatico che questi cani erano abili a stanare durante la caccia.
Le prime selezioni risalgono al XIX secolo in Gran Bretagna, dove gli spaniel vennero suddivisi in due grandi categorie: i land spaniel (da terra) e i water spaniel (da acqua). Tra i land spaniel, il Cocker si affermò come razza autonoma per la sua taglia più contenuta e la straordinaria attitudine alla cerca nei boschi fitti.
Nel tempo, si svilupparono due linee distinte: il Cocker Spaniel Inglese, più rustico e fedele allo standard originario, e l’American Cocker Spaniel, selezionato negli Stati Uniti con un aspetto più compatto, testa più arrotondata e occhi più grandi.

2. Caratteristiche fisiche

Il Cocker Spaniel Inglese è un cane di taglia media, con un corpo armonioso, muscoloso e proporzionato.

  • Altezza al garrese: 38–41 cm nei maschi, 36–39 cm nelle femmine

  • Peso: 12–15 kg

  • Testa: ben scolpita, con stop marcato e muso quadrato

  • Orecchie: lunghe, attaccate basse e ricoperte di pelo setoso

  • Mantello: lungo, setoso e aderente al corpo, con frange su arti e addome

  • Colori: numerosi, tra cui fulvo, nero, fegato, tricolore, roano blu o arancio

Il suo sguardo dolce e vivace è una delle caratteristiche più riconoscibili e amate. È un cane allegro, affettuoso e molto legato al proprietario, ma anche dotato di un’indole energica e curiosa che richiede stimoli costanti.

3. Principali patologie della razza

Come molte razze selezionate, anche il Cocker Spaniel è predisposto ad alcune patologie ereditarie e croniche, che il veterinario deve conoscere per una corretta prevenzione:

  • Otiti ricorrenti: le lunghe orecchie pendenti, unite al mantello folto, creano un ambiente caldo-umido favorevole alla proliferazione di batteri e lieviti. È fondamentale una pulizia auricolare regolare.

  • Patologie oculari: la cataratta ereditaria, l’atrofia progressiva della retina (PRA) e la cheratocongiuntivite secca sono relativamente comuni nella razza.

  • Anemia emolitica autoimmune: malattia immunomediata che può colpire alcuni soggetti predisposti, soprattutto tra i Cocker fulvi.

  • Displasia dell’anca: meno frequente che in razze di taglia grande, ma comunque da monitorare nei riproduttori.

  • Tendenza al sovrappeso: il Cocker ama il cibo e può ingrassare facilmente se non riceve adeguato esercizio fisico.

 

4. Consigli pratici per i proprietari

  • Igiene auricolare: controllare le orecchie almeno una volta a settimana e pulirle con prodotti specifici per prevenire otiti.

  • Toelettatura: spazzolare il mantello ogni 2–3 giorni e programmare una toelettatura completa ogni 6–8 settimane.

  • Attività fisica: il Cocker ha bisogno di movimento quotidiano e stimoli mentali per evitare noia e comportamenti indesiderati.

  • Alimentazione: fornire una dieta bilanciata e controllare le porzioni per evitare sovrappeso.

  • Visite veterinarie regolari: esami periodici di occhi, orecchie e sangue sono raccomandati per una diagnosi precoce di eventuali problemi.

 

5. Conclusione

Il Cocker Spaniel è un cane che conquista per il suo carattere allegro, l’intelligenza e la grande capacità di adattarsi alla vita familiare. Tuttavia, la sua salute richiede attenzioni costanti, soprattutto per quanto riguarda orecchie e occhi.
Con la giusta cura, alimentazione e prevenzione veterinaria, il Cocker può vivere una vita lunga e felice, regalando affetto e compagnia ai suoi proprietari per molti anni.

La vaccinazione base del gatto

La vaccinazione trivalente rappresenta il cardine della prevenzione sanitaria nel gatto, indipendentemente dal fatto che viva esclusivamente in casa o abbia accesso all’esterno. Questo vaccino di base protegge da tre importanti malattie virali: rinotracheite infettiva felina (Herpesvirus felino di tipo 1, FHV-1), calicivirosi (Calicivirus felino, FCV) e panleucopenia felina (Parvovirus felino, FPV).

1. Le malattie comprese nella trivalente

  • Rinotracheite virale felina (FHV-1)
    È causata da un Herpesvirus specifico del gatto e interessa soprattutto l’apparato respiratorio superiore. I sintomi comprendono starnuti, scolo nasale e oculare, congiuntivite, febbre e perdita di appetito. Dopo l’infezione primaria, il virus può rimanere latente nell’organismo e riattivarsi in situazioni di stress, rendendo il gatto un portatore cronico.

  • Calicivirosi (FCV)
    Anche il Calicivirus colpisce le vie respiratorie superiori, ma può manifestarsi con ulcere orali, gengivite e, in alcune varianti, con forme più gravi a carico di polmoni, fegato e articolazioni. È altamente contagioso e può diffondersi facilmente tramite secrezioni o oggetti contaminati (ciotole, lettiere, mani).

  • Panleucopenia felina (FPV)
    Si tratta di una malattia molto grave, causata da un Parvovirus estremamente resistente nell’ambiente. Provoca febbre, vomito, diarrea profusa, disidratazione e una drastica riduzione dei globuli bianchi (da cui il nome “panleucopenia”). Nei gattini non vaccinati può essere rapidamente letale.

 

2. Perché vaccinare anche i gatti che vivono in casa

Molti proprietari pensano che un gatto che non esce non abbia bisogno di vaccinazioni, ma è un errore comune.
I virus responsabili di queste malattie sono altamente contagiosi e possono essere introdotti in casa indirettamente: attraverso le scarpe, i vestiti o le mani del proprietario dopo il contatto con altri animali o ambienti contaminati (ambulatori, pensioni, giardini, cortili).

Inoltre, in caso di necessità di ricovero o visita veterinaria, il gatto potrebbe venire a contatto con altri soggetti potenzialmente infetti. La vaccinazione garantisce quindi una protezione di base indispensabile anche per i gatti “indoor”.

3. L’importanza di vaccinare anche l’animale anziano

Un altro errore diffuso è pensare che, con l’età, il gatto non abbia più bisogno dei richiami vaccinali. In realtà, il sistema immunitario del gatto anziano tende a ridurre la sua efficienza: questo significa che la capacità di reagire alle infezioni diminuisce, rendendolo più vulnerabile.

Mantenere aggiornate le vaccinazioni anche nei soggetti anziani aiuta a stimolare la memoria immunitaria e a fornire una protezione efficace nel tempo. Inoltre, la riattivazione di virus latenti, come l’Herpesvirus felino, è più frequente negli animali stressati o immunocompromessi — condizioni comuni nell’età avanzata.
Per questo è importante che il veterinario valuti ogni anno lo stato di salute generale e il protocollo vaccinale più adatto, bilanciando la protezione con le esigenze del singolo gatto.

4. Il protocollo vaccinale secondo le linee guida internazionali (WSAVA / AAFP)

Le linee guida WSAVA e AAFP suddividono i vaccini in core (essenziali) e non core (facoltativi).
La trivalente appartiene ai vaccini core, raccomandati per tutti i gatti, indipendentemente dallo stile di vita.

Protocollo vaccinale di base:

  • Gattino:

    • Prima dose: a partire dalle 6–8 settimane di età

    • Richiami: ogni 2–4 settimane fino ad almeno 16 settimane di età

    • Richiamo finale: 1 anno dopo l’ultima dose del ciclo primario

  • Gatto adulto non vaccinato:

    • Due dosi a distanza di 3–4 settimane

    • Primo richiamo: 1 anno dopo la seconda dose

  • Richiami successivi:

    • Le linee guida indicano un richiamo ogni 3 anni per FPV (panleucopenia),
      mentre per FHV-1 e FCV la protezione può essere 1–3 anni,
      a seconda del tipo di vaccino, dello stato immunitario e dello stile di vita del gatto.

    • Il veterinario valuta se mantenere un richiamo annuale nei soggetti a rischio (gatti anziani, immunodepressi, o che vivono con più animali).

5. Benefici della vaccinazione

La vaccinazione trivalente non solo riduce il rischio di contrarre la malattia, ma in molti casi attenua la gravità dei sintomi e limita la diffusione del virus all’interno della popolazione felina. È dunque una misura di tutela sia individuale che collettiva, che rimane importante per tutto l’arco della vita del gatto — dal gattino all’anziano.

In sintesi, la vaccinazione trivalente è un atto di prevenzione semplice ma essenziale per garantire al gatto una vita lunga, sana e protetta. Anche se vive in casa o ha già molti anni, non bisogna mai abbassare la guardia: un controllo regolare e un richiamo vaccinale mirato restano la miglior forma di protezione.

Sacro di Birmania

Il Sacro di Birmania, spesso chiamato semplicemente Birmano, è una delle razze feline più affascinanti e misteriose. Con i suoi occhi blu intensi, il pelo setoso e le iconiche “guantature” bianche sulle zampe, è un gatto che conquista al primo sguardo. Oltre alla bellezza, presenta anche particolari esigenze di salute e cura che i futuri proprietari dovrebbero conoscere.

Origini e storia della razza

Le origini del Sacro di Birmania sono avvolte nella leggenda. Secondo i racconti, questi gatti erano compagni dei monaci del tempio di Lao Tsun, in Birmania, e considerati animali sacri.
La ricostruzione storica più concreta colloca invece la nascita della razza in Francia negli anni Venti del Novecento, grazie a incroci tra gatti Siamesi e gatti a pelo lungo di tipo Persiano.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale la razza rischiò di scomparire e fu recuperata tramite un attento programma di selezione. Oggi il Sacro di Birmania è riconosciuto da tutte le principali associazioni feline internazionali.

Caratteristiche fisiche della razza

Il Sacro di Birmania è un gatto di taglia media, con corpo robusto e muscoloso ma dall’aspetto elegante e armonioso. La testa è tondeggiante, con guance piene e un naso leggermente arcuato. Gli occhi sono grandi, rotondi e sempre di un intenso blu zaffiro. Il mantello è semilungo e setoso, poco soggetto a infeltrimento grazie alla scarsa presenza di sottopelo; è presente in diverse colorazioni ma sempre con il tipico disegno colourpoint, cioè con maschera, orecchie, coda e zampe pigmentate. Caratteristica distintiva della razza sono le “guantature” bianche sulle zampe, ovvero l’estremità bianca uniforme sia sugli arti anteriori che posteriori, dettaglio essenziale per lo standard.

Temperamento e comportamento

Il Sacro di Birmania è apprezzato per il suo carattere equilibrato. È un gatto affettuoso, socievole e incline alla vita in famiglia. Ama la compagnia, è generalmente tollerante con bambini e altri animali e si adatta facilmente alla vita in appartamento. Intelligente e curioso, gradisce il gioco e l’interazione con il proprietario, ma mantiene comunque una certa indipendenza.

Patologie più frequenti nel Sacro di Birmania

Come molte razze selezionate, anche il Sacro di Birmania può presentare predisposizioni verso alcune patologie ereditarie o ricorrenti.

Cardiomiopatia Ipertrofica (HCM)
È la malattia cardiaca ereditaria più diffusa nei gatti e nel Sacro di Birmania si osserva una predisposizione genetica. Sono consigliati controlli ecocardiografici periodici, soprattutto nei riproduttori.

Deficit di Piruvato-Chinasi (PK-def)
Malattia genetica ereditaria che causa anemia emolitica intermittente. È disponibile un test genetico utile per la diagnosi e per la selezione responsabile nei programmi di allevamento.

Problemi dermatologici
Alcuni soggetti possono sviluppare dermatiti, spesso correlate ad allergie alimentari o ambientali.

Patologie oculari
In alcuni individui si riscontra tendenza a epifora cronica o congiuntivite, fenomeni talvolta legati alla conformazione cranica.

Calcolosi urinaria
Possibile predisposizione alla formazione di cristalli urinari. Un’alimentazione equilibrata e un adeguato apporto idrico rappresentano un’importante forma di prevenzione.

Consigli per i proprietari

  • Offrire un’alimentazione di buona qualità, ricca di proteine di origine animale e adeguata al mantenimento della salute urinaria.

  • Effettuare una toelettatura regolare con spazzolatura due o tre volte alla settimana per mantenere il mantello in buone condizioni e ridurre la formazione di boli di pelo.

  • Garantire attenzioni e interazione quotidiana: è un gatto sociale che soffre la solitudine prolungata.

  • Prevedere controlli veterinari regolari, con particolare attenzione alla salute cardiaca e ai possibili test genetici.

  • Arricchire l’ambiente domestico con tiragraffi, mensole, giochi e stimoli che favoriscano il benessere psicofisico del gatto.

 

Conclusione

Il Sacro di Birmania è un compagno elegante, dolce e affettuoso, ideale per la vita familiare e capace di instaurare un forte legame con il proprietario. Con una corretta gestione, una buona prevenzione sanitaria e un ambiente ricco di stimoli, può vivere a lungo e in salute, offrendo anni di compagnia e serenità.

Antibiotico-resistenza e uso corretto degli antibiotici

Negli ultimi decenni, gli antibiotici hanno rappresentato una delle più grandi conquiste della medicina moderna, salvando milioni di vite — umane e animali. Tuttavia, il loro uso scorretto o eccessivo ha portato a un problema sempre più preoccupante: la resistenza agli antibiotici, un fenomeno che oggi è considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una delle principali minacce alla salute pubblica globale.

Cos’è l’antibiotico-resistenza

L’antibiotico-resistenza si verifica quando i batteri sviluppano la capacità di sopravvivere ai farmaci che dovrebbero eliminarli.
Questo non significa che l’antibiotico “non funzioni più” in generale, ma che alcuni batteri, dopo esposizioni ripetute o inappropriate, hanno imparato a difendersi.

I meccanismi con cui ciò avviene sono diversi:

  • produzione di enzimi che inattivano l’antibiotico,

  • modifica del bersaglio su cui agisce il farmaco,

  • riduzione della permeabilità della membrana batterica,

  • espulsione attiva dell’antibiotico dalla cellula (efflusso).

Il risultato è che infezioni un tempo facilmente curabili diventano più difficili, costose e lunghe da trattare.
In alcuni casi, purtroppo, non esistono più antibiotici efficaci per eliminare certi ceppi batterici.

 Quando l’antibiotico non serve

Molti proprietari mi contattano preoccupati perché il loro cane o gatto “ha il raffreddore”, tossisce o ha un po’ di secrezione oculare e nasale.
È comprensibile volerli aiutare subito, ma nella grande maggioranza dei casi si tratta di infezioni virali, come le forme respiratorie da herpesvirus o calicivirus nel gatto, o le tracheobronchiti virali nel cane.

Gli antibiotici, però, non agiscono sui virus. Somministrarli in questi casi non accelera la guarigione, non allevia i sintomi e non previene complicazioni:

  • è inutile, perché i virus non vengono eliminati,

  • è potenzialmente dannoso, perché altera la flora batterica intestinale,

  • ed è rischioso, perché favorisce lo sviluppo di ceppi batterici resistenti.

Inoltre, un uso inappropriato può mascherare i sintomi, rendendo più difficile la diagnosi corretta se la situazione peggiora.
L’approccio corretto è sempre quello di identificare la causa, eventualmente eseguendo tamponi, colture batteriche e antibiogrammi prima di iniziare una terapia.

 Il ruolo del veterinario nella tutela della salute pubblica

Il veterinario non è solo il medico dell’animale: è un guardiano della salute collettiva.
Ogni volta che prescrive o decide di non prescrivere un antibiotico, compie una scelta che influisce non solo sul singolo paziente, ma anche sulla comunità umana e animale.

Per questo, la medicina veterinaria moderna si basa sul principio dell’uso prudente e razionale degli antibiotici, che prevede:

  • prescrizione solo in presenza di un’infezione batterica documentata o fortemente sospetta,

  • scelta mirata della molecola in base all’agente patogeno e all’antibiogramma,

  • dose, via e durata di somministrazione appropriate,

  • monitoraggio clinico durante e dopo la terapia.

In Italia e in Europa, le normative sono sempre più stringenti e prevedono la registrazione e tracciabilità delle prescrizioni, proprio per contenere il fenomeno della resistenza.

 One Health: un’unica salute

L’OMS, l’OIE e la FAO hanno introdotto il concetto di One Health, cioè “Una Sola Salute”:
la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente è strettamente connessa.

Un batterio resistente che nasce in un allevamento o in un animale domestico può, attraverso contatti diretti o indiretti (superfici, acqua, alimenti), arrivare all’uomo.
E viceversa, batteri resistenti presenti nell’uomo possono diffondersi agli animali.

Questo significa che ogni uso scorretto di antibiotici in veterinaria contribuisce al problema globale della resistenza batterica anche nella popolazione umana.
È un fenomeno invisibile, ma concreto, che richiede responsabilità da parte di tutti: medici, veterinari e cittadini.

 Le conseguenze dell’abuso di antibiotici

Usare antibiotici senza una reale necessità porta a:

  • selezione di batteri resistenti che possono diffondersi,

  • perdita di efficacia dei farmaci disponibili,

  • aumento del rischio di infezioni difficili da trattare,

  • danni alla flora batterica intestinale, fondamentale per il sistema immunitario,

  • reazioni avverse inutili, come vomito, diarrea o reazioni allergiche.

Inoltre, un uso ripetuto e casuale degli stessi antibiotici rischia di compromettere i futuri trattamenti, rendendo inefficaci molecole preziose che dovremmo riservare solo ai casi davvero gravi.

 Cosa possiamo fare in concreto

  1. Non somministrare mai antibiotici senza visita veterinaria. Anche se “ne era avanzata una compressa” o “l’aveva preso l’anno scorso”, ogni caso è diverso.

  2. Rispettare dosi e tempi di terapia. Sospendere prima del tempo favorisce la sopravvivenza dei batteri più resistenti.

  3. Non richiedere antibiotici “per sicurezza”: non servono nelle infezioni virali e possono fare danni.

  4. Seguire le indicazioni del veterinario anche per i controlli: un tampone o un emocromo possono evitare trattamenti inutili.

  5. Promuovere la prevenzione: vaccinazioni, corretta igiene, alimentazione equilibrata e riduzione dello stress sono la vera difesa contro le infezioni.

 

 In conclusione

L’antibiotico non è un “farmaco magico”, ma uno strumento potente che va usato con giudizio e competenza.
Il veterinario ha il compito di decidere quando serve davvero e di evitare che venga usato “per abitudine” o “per tranquillizzare il proprietario”.

Ogni antibiotico somministrato senza motivo rappresenta un passo indietro nella lotta contro la resistenza batterica.
Agire in modo responsabile oggi significa proteggere la salute dei nostri animali, la nostra e quella delle generazioni future.

Il gene MDR1 nel cane: perché è importante conoscerlo

1. Cos’è il gene MDR1

Il gene MDR1 (Multi Drug Resistance 1), anche conosciuto come ABCB1, codifica per una proteina chiamata P-glicoproteina. Questa proteina ha un ruolo fondamentale nel trasporto di sostanze tossiche e farmaci all’esterno delle cellule, in particolare a livello del sistema nervoso centrale, del fegato, dei reni e dell’intestino.
Quando il gene è alterato da una mutazione, la P-glicoproteina non funziona correttamente: il risultato è un accumulo anomalo di farmaci in alcuni tessuti, con conseguente tossicità anche da dosi normalmente sicure.

2. Razze che devono essere testate

La mutazione del gene MDR1 è ereditaria e particolarmente diffusa nei cani appartenenti a razze di origine collie. Le razze più frequentemente interessate sono:

  • Collie (Rough e Smooth)

  • Australian Shepherd

  • Shetland Sheepdog (Sheltie)

  • Border Collie

  • Old English Sheepdog

  • McNab

  • Whippet a pelo lungo

  • Silken Windhound

  • German Shepherd (in casi rari)

È buona norma testare anche i meticci che presentano tratti fenotipici di queste razze, poiché potrebbero essere portatori della mutazione.

3. Patologie e rischi correlati

Nei soggetti con mutazione del gene MDR1, la ridotta attività della P-glicoproteina comporta una maggiore sensibilità a diversi principi attivi farmacologici, tra cui:

  • Ivermectina (antiparassitario)

  • Loperamide (antidiarroico)

  • Milbemicina ossima e Moxidectina (antielmintici)

  • Doxorubicina, Vincristina, Vinblastina (chemioterapici)

  • Acepromazina e Butorfanolo (sedativi e analgesici)

  • Digossina (farmaco cardiaco)

L’esposizione a tali farmaci può causare segni neurologici gravi, come tremori, atassia, convulsioni, ipersalivazione, cecità temporanea e, nei casi più gravi, coma o morte.

4. Test genetico e prevenzione

Il test per la mutazione MDR1 è semplice e affidabile: si esegue mediante un tampone buccale o un prelievo di sangue, con analisi del DNA in laboratorio.
I risultati classificano il cane come:

  • N/N → soggetto normale (nessuna mutazione)

  • N/MDR1 → portatore eterozigote (sensibilità moderata)

  • MDR1/MDR1 → affetto (massima sensibilità ai farmaci)

Conoscere lo stato genetico del proprio cane permette al veterinario di scegliere terapie sicure ed evitare reazioni avverse potenzialmente letali.

5. Consigli per i proprietari

  • Effettuare sempre il test genetico nei cani appartenenti alle razze a rischio o nei meticci con caratteristiche simili.

  • Informare il veterinario dello stato MDR1 del proprio cane prima di qualsiasi trattamento farmacologico.

  • Evitare farmaci ad alto rischio (come ivermectina e loperamide) se il cane risulta positivo alla mutazione.

  • Non somministrare mai farmaci “da banco” o per uso umano senza consultare il veterinario.

  • Conservare il referto del test genetico e presentarlo in caso di visite in altre cliniche o durante viaggi.

 

Conclusione

Il gene MDR1 rappresenta un esempio concreto di quanto la genetica veterinaria sia utile nella pratica clinica quotidiana. Con un semplice test è possibile evitare reazioni farmacologiche gravi e garantire una gestione terapeutica sicura e personalizzata.
Conoscere il profilo genetico del proprio cane non è solo una scelta consapevole, ma un vero atto d’amore verso il suo benessere.

Border Collie

1. Origini e storia della razza

Il Border Collie è una razza canina originaria delle regioni di confine tra Inghilterra e Scozia (“border”), dove fu selezionata a partire dal XIX secolo come cane da pastore per la conduzione delle greggi. Discende da antichi cani da lavoro britannici, utilizzati per radunare ovini e bovini in territori collinari e spesso impervi.
La selezione si è basata quasi esclusivamente sulla capacità di lavoro e sull’intelligenza, più che sull’aspetto estetico. Il risultato è stato un cane estremamente collaborativo, attento e dotato di un istinto naturale per la gestione del bestiame. Nel 1915 la razza venne ufficialmente denominata “Border Collie”, e solo nel 1976 fu riconosciuta dal Kennel Club inglese.

2. Caratteristiche fisiche

Il Border Collie è un cane di taglia media, con un corpo armonico e muscoloso, costruito per la resistenza e l’agilità.

  • Altezza al garrese: 48–56 cm nei maschi, 46–53 cm nelle femmine

  • Peso medio: 14–22 kg

  • Mantello: può essere liscio o di media lunghezza, con sottopelo fitto e impermeabile.

  • Colori: il più comune è il bianco e nero, ma esistono molte varianti (tricolore, red merle, blue merle, chocolate, sable).

  • Occhi: vivaci, spesso marroni, talvolta azzurri o eterocromi.

  • Orecchie: semi-erette o erette.

La sua espressione intelligente e vigile è uno dei tratti distintivi della razza.

3. Carattere e comportamento

Il Border Collie è considerato una delle razze più intelligenti al mondo. Apprende rapidamente nuovi comandi e mostra un’eccezionale capacità di concentrazione e memoria.
È un cane energico, sensibile e molto legato al proprietario. Necessita di costante stimolazione mentale e fisica: senza attività, tende ad annoiarsi e può sviluppare comportamenti ossessivi o distruttivi.
Non è una razza adatta a tutti: richiede esperienza, tempo e disponibilità all’addestramento. Eccelle negli sport cinofili come agility, obedience e sheepdog.

4. Patologie più frequenti

Sebbene generalmente robusto, il Border Collie può essere predisposto ad alcune patologie ereditarie:

  • Displasia dell’anca (HD): malformazione articolare che può causare dolore e zoppia.

  • Collie Eye Anomaly (CEA): malattia congenita dell’occhio che può portare a cecità.

  • Epilessia idiopatica: crisi convulsive di origine neurologica, spesso gestibili con terapia farmacologica.

  • Neuronal Ceroid Lipofuscinosis (NCL): rara malattia neurodegenerativa ereditaria.

  • Anomalie genetiche MDR1: mutazione che altera la risposta a vari farmaci (es. ivermectina).

Il test genetico e i controlli ortopedici precoci sono fondamentali nella selezione dei riproduttori.

5. Consigli per i proprietari

  • Attività fisica: deve potersi muovere quotidianamente, correre e svolgere attività strutturate.

  • Stimolazione mentale: giochi di problem solving, ricerca olfattiva e addestramento avanzato sono ideali.

  • Alimentazione: equilibrata e di qualità, per sostenere un metabolismo molto attivo.

  • Socializzazione precoce: importante per evitare eccessiva timidezza o iperreattività.

  • Visite veterinarie periodiche: controlli ortopedici, oculari e test genetici nei soggetti destinati alla riproduzione.

Il Border Collie è un compagno straordinario per chi può offrirgli tempo, attività e affetto, ma può diventare un cane problematico se confinato in un ambiente sedentario o privo di stimoli.

Conclusione

Il Border Collie rappresenta il perfetto equilibrio tra intelligenza, dedizione e instinto lavorativo. È una razza che, più di ogni altra, incarna il legame tra uomo e cane come cooperazione e fiducia reciproca. Affidato alle giuste mani, diventa un partner di vita insostituibile.

Alitosi nel cane e nel gatto

L’alitosi, o cattivo odore dell’alito, è una condizione spesso sottovalutata dai proprietari di animali domestici, che tendono a considerarla “normale” soprattutto nei soggetti anziani.
In realtà, un alito sgradevole è quasi sempre il segnale di una patologia sottostante, nella maggior parte dei casi a carico del cavo orale, ma talvolta anche di organi interni come stomaco, fegato o reni.
Riconoscere precocemente le cause dell’alitosi è fondamentale non solo per migliorare la qualità della vita dell’animale, ma anche per prevenire complicazioni gravi e dolorose.

1. La fisiologia del cavo orale

Il cavo orale dei cani e dei gatti è un ecosistema complesso, abitato da milioni di batteri, molti dei quali innocui o addirittura benefici.
Quando però la flora batterica si altera — per dieta inadeguata, scarsa igiene o presenza di patologie gengivali — si sviluppano microorganismi anaerobi che decompongono residui alimentari e tessuti organici, producendo composti solforati volatili (VSCs) come il metilmercaptano e l’idrogeno solforato, responsabili del classico odore putrido.

La saliva, normalmente, svolge un’azione tampone e detersiva; una salivazione ridotta o alterata, invece, favorisce la proliferazione batterica e l’insorgenza dell’alitosi.

2. Cause orali: la principale origine del problema

Malattia parodontale

È la causa più comune di alito cattivo nei cani (soprattutto di piccola taglia) e nei gatti adulti.
La placca batterica, inizialmente invisibile, si mineralizza trasformandosi in tartaro. Quest’ultimo irrita le gengive, provocando gengivite, tasche parodontali e progressiva distruzione dell’osso alveolare.
Il processo infiammatorio, alimentato da batteri anaerobi Gram-negativi, porta a necrosi dei tessuti e al rilascio di gas maleodoranti.
Nei casi avanzati, possono comparire dolore, perdita dei denti, difficoltà nella masticazione e, nei gatti, addirittura riassorbimenti dentali.

Stomatiti croniche e gengiviti immunomediate

Nei gatti, l’alitosi può essere associata a stomatite cronica felina, una malattia complessa in cui il sistema immunitario reagisce in modo esagerato alla placca batterica.
Spesso è correlata a infezioni virali (come calicivirus e herpesvirus felino), ma anche alla FeLV o FIV.
Il dolore è intenso, la mucosa appare ulcerata e l’alito estremamente fetido. Il trattamento può richiedere estrazioni dentali multiple e terapie immunomodulanti.

Ascessi, corpi estranei e neoplasie

Un corpo estraneo incastrato (spiga, scheggia di osso o pezzo di bastoncino) o un ascesso radicolare può determinare una infezione purulenta localizzata.
Nei soggetti anziani, l’alitosi può essere il primo segno di neoplasie orali (come il carcinoma squamocellulare o il melanoma maligno), che tendono a ulcerarsi e infettarsi rapidamente.

3. Cause sistemiche dell’alitosi

Non sempre l’origine è nel cavo orale. Alcune patologie interne possono modificare l’odore dell’alito in modo caratteristico:

  • Insufficienza renale cronica: l’accumulo di urea nel sangue porta alla formazione di ammoniaca, che dà all’alito un odore “uremico”, simile a quello dell’ammoniaca o della pipì.

  • Diabete mellito: quando non controllato, provoca la formazione di corpi chetonici che conferiscono un odore dolciastro e fruttato.

  • Malattie epatiche: la ridotta capacità del fegato di metabolizzare le tossine può causare un alito dal sentore dolciastro ma nauseante.

  • Disturbi gastrointestinali: gastrite, reflusso o alterazioni della flora intestinale possono contribuire a un alito pesante, anche in assenza di patologie dentali.

 

4. Diagnosi: indagare la causa, non mascherare l’odore

Una corretta diagnosi richiede un approccio sistematico.
Il veterinario effettua un esame del cavo orale per valutare:

  • quantità di placca e tartaro;

  • infiammazione gengivale;

  • mobilità dentale;

  • eventuali lesioni, ulcerazioni o masse.

Se necessario, si procede con:

  • Esame orale in anestesia, che permette di esplorare aree nascoste e pulire accuratamente i denti;

  • Radiografie dentali intraorali, per valutare lo stato delle radici e dell’osso;

  • Esami del sangue, per identificare patologie renali, epatiche o metaboliche.

Un’anamnesi accurata (tipo di alimentazione, abitudini di masticazione, eventuali vomiti o sete aumentata) completa il quadro diagnostico.

5. Terapia: eliminare la causa, non solo l’odore

Il trattamento dipende sempre dalla causa sottostante.

Malattia parodontale

  • Detartrasi ultrasonica professionale e lucidatura.

  • Estrazione dei denti mobili o infetti.

  • Terapia antibiotica e antinfiammatoria mirata, se necessario.

Stomatite felina

  • Antibiotici e antinfiammatori nei casi lievi.

  • Terapie immunosoppressive (come cortisonici o ciclosporina).

  • Estrazioni parziali o totali nei casi gravi per ridurre lo stimolo antigenico.

Patologie sistemiche

  • Terapia specifica per la malattia di base (es. fluidoterapia e dieta renale per l’insufficienza renale, insulina per il diabete, ecc.).

Rimedi fai-da-te da evitare

Collutori o spray per mascherare l’odore non risolvono il problema e possono essere irritanti o tossici.
Anche i rimedi “naturali” a base di oli essenziali vanno evitati senza indicazione veterinaria.

6. Prevenzione: la vera arma vincente

La prevenzione dell’alitosi passa attraverso una corretta igiene orale quotidiana e controlli periodici.

  • Spazzolamento dei denti: il metodo più efficace. Si usano spazzolini morbidi e dentifrici specifici per animali (mai umani!).

  • Snack e alimenti dentali: aiutano a ridurre la placca grazie all’azione meccanica.

  • Additivi per l’acqua e polveri da aggiungere al cibo: alcuni contengono sostanze enzimatiche o zinco che limitano la crescita batterica.

  • Controllo veterinario annuale: permette di intercettare precocemente gengiviti e accumuli di tartaro.

Nei soggetti predisposti, una detartrasi preventiva ogni 12-18 mesi è la soluzione ideale per mantenere gengive sane e un alito neutro.

7. Quando preoccuparsi

Rivolgiti al veterinario se noti:

  • alito improvvisamente più forte o pungente;

  • gengive arrossate o sanguinanti;

  • difficoltà nella masticazione o riluttanza a mangiare crocchette;

  • perdita di denti o salivazione eccessiva;

  • cambiamenti nell’odore dell’alito (dolciastro, ammoniacale, putrido).

Questi segnali non vanno ignorati: dietro a un semplice cattivo odore può celarsi una malattia dolorosa o sistemica.

Conclusione

L’alitosi non è un difetto estetico, ma un sintomo clinico.
Curarla significa prendersi cura della salute generale dell’animale, prevenendo dolore, infezioni e complicanze.
Una buona igiene orale quotidiana, una dieta equilibrata e visite veterinarie regolari sono la base per un sorriso sano e… un alito piacevole!

Le malattie cardiache nei piccoli animali

1. Introduzione

Le malattie cardiache nei cani e nei gatti rappresentano una delle principali cause di patologia cronica, soprattutto negli animali adulti e anziani.
Il cuore, organo centrale dell’apparato circolatorio, è responsabile della distribuzione del sangue e dell’ossigeno ai tessuti. Quando la sua funzione viene compromessa, si verificano alterazioni della pressione e dell’ossigenazione sistemica che, nel tempo, possono condurre allo scompenso cardiaco congestizio (CHF).

La difficoltà maggiore è che molte cardiopatie evolvono in modo subclinico per mesi o anni, fino alla comparsa di sintomi evidenti. La prevenzione e la diagnosi precoce diventano quindi fondamentali per prolungare la vita e migliorare il benessere dell’animale.

2. Tipologie di malattie cardiache

Le cardiopatie si classificano in due grandi categorie: congenite e acquisite.

2.1 Cardiopatie congenite

Sono presenti sin dalla nascita e dovute a malformazioni anatomiche del cuore o dei grossi vasi. Possono interessare valvole, setti o arterie.
Le più comuni sono:

  • Difetto del setto interventricolare (VSD) – un’apertura tra i due ventricoli che causa un passaggio anomalo di sangue.

  • Stenosi polmonare – restringimento della valvola polmonare, con aumento del carico sul ventricolo destro.

  • Stenosi subaortica – frequente in razze come Boxer e Golden Retriever.

  • Dotto arterioso di Botallo persistente (PDA) – molto comune nel Pastore Tedesco e nel Barboncino.

Alcune di queste patologie possono essere corrette chirurgicamente o gestite farmacologicamente se diagnosticate in tempo.

2.2 Cardiopatie acquisite

Compaiono nel corso della vita, spesso come conseguenza di degenerazioni valvolari o alterazioni del muscolo cardiaco.
Le principali sono:

  • Degenerazione mixomatosa della valvola mitrale (MMVD) – la più frequente nei cani di piccola taglia (Cavalier King Charles Spaniel, Barboncino, Bassotto, Shih Tzu). Porta a un reflusso di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro.

  • Cardiomiopatia dilatativa (DCM) – tipica dei cani di taglia grande (Dobermann, Alano, Pastore Tedesco, Labrador). Il cuore diventa dilatato e meno efficiente nella contrazione.

  • Cardiomiopatia ipertrofica (HCM) – la più comune nei gatti, caratterizzata da un ispessimento del miocardio che riduce il riempimento ventricolare. Colpisce spesso razze predisposte come Maine Coon, Ragdoll, British Shorthair e Persiano.

 

3. Fisiopatologia e sintomi clinici

Quando il cuore non riesce più a pompare sangue in modo efficace, l’organismo attiva meccanismi compensatori (sistema renina-angiotensina-aldosterone, aumento della frequenza cardiaca, vasocostrizione periferica) che, nel tempo, peggiorano lo scompenso.

I sintomi clinici più frequenti includono:

  • Tosse cronica, specialmente notturna, causata da congestione polmonare o compressione dei bronchi.

  • Affaticamento e intolleranza all’esercizio, con necessità di pause frequenti o difficoltà a salire le scale.

  • Dispnea o tachipnea anche a riposo, segno di edema polmonare.

  • Sincope o collasso dovuti a ridotto flusso cerebrale.

  • Ascite (accumulo di liquidi addominali) o edemi periferici, nelle forme avanzate di scompenso destro.

  • Inappetenza e perdita di peso per ridotto apporto di ossigeno ai tessuti.

Nel gatto, i sintomi sono spesso più sfumati: respirazione con bocca aperta, postura accovacciata, letargia, o nei casi più gravi tromboembolismo aortico, che causa paralisi improvvisa degli arti posteriori.

4. Diagnosi: strumenti e indagini

La diagnosi delle cardiopatie richiede una valutazione combinata di segni clinici, auscultazione e diagnostica per immagini.

  • Visita clinica e auscultazione cardiaca: il soffio cardiaco è spesso il primo segnale, ma non sempre indica una malattia grave.

  • Radiografie toraciche: mostrano ingrandimento cardiaco, congestione polmonare o versamenti.

  • Ecocardiografia (ECO): rappresenta il gold standard per lo studio del cuore. Permette di misurare dimensioni, spessori, flussi e valvole, distinguendo le varie forme di cardiopatia.

  • Elettrocardiogramma (ECG): fondamentale per individuare aritmie, blocchi o fibrillazioni.

  • Biomarcatori ematici (NT-proBNP e troponina I): utili per distinguere una causa cardiaca da una respiratoria in presenza di difficoltà respiratoria e per monitorare la progressione della malattia.

  • Holter ECG (monitoraggio 24 ore): consigliato nei Dobermann e in razze predisposte alle aritmie ventricolari.

 

5. Terapia e gestione del paziente cardiopatico

L’obiettivo della terapia non è guarire la malattia, ma stabilizzare la funzione cardiaca e prevenire gli episodi di scompenso.

5.1 Terapia farmacologica

  • Pimobendan → migliora la contrattilità miocardica e riduce il carico di lavoro del cuore (inotropo e vasodilatatore).

  • ACE-inibitori (benazepril, enalapril, ramipril) → dilatano i vasi e riducono la pressione di riempimento.

  • Diuretici (furosemide, torasemide) → eliminano i liquidi in eccesso, riducendo l’edema.

  • Spironolattone → antagonista dell’aldosterone, utile a lungo termine.

  • Antiaritmici (sotalolo, mexiletina, amiodarone) → nei casi con aritmie significative.

  • Antitrombotici e anticoagulanti (clopidogrel, eparina) → fondamentali nel gatto con HCM.

5.2 Gestione alimentare e ambientale

  • Riduzione del sodio nella dieta.

  • Mantenimento di un peso corporeo ideale (l’obesità aggrava lo scompenso).

  • Attività fisica moderata, evitando stress e sforzi intensi.

  • Controllo regolare con ecocardiografia ogni 6–12 mesi per adeguare la terapia.

 

6. Prognosi e qualità della vita

La prognosi varia notevolmente in base al tipo di cardiopatia e alla risposta terapeutica.

  • Nella degenerazione mitralica, gli animali trattati correttamente possono vivere anche 3–5 anni dopo la diagnosi.

  • Nei gatti con HCM, la sopravvivenza dipende dalla presenza di tromboembolia e dal grado di ispessimento miocardico.

  • La cardiomiopatia dilatativa ha una prognosi più riservata, ma la diagnosi precoce e la gestione attenta possono prolungare la vita in modo significativo.

La chiave è la collaborazione costante tra veterinario e proprietario, con monitoraggi periodici e aggiustamenti terapeutici mirati.

7. Conclusione

Le malattie cardiache nei cani e nei gatti sono complesse, ma non inevitabili nella loro progressione.
L’approccio moderno, basato su diagnosi precoce, monitoraggio continuo e terapia personalizzata, consente oggi di garantire una vita lunga e di buona qualità anche ai pazienti cardiopatici.
La sensibilità del proprietario nel riconoscere i primi segnali e la tempestività del veterinario nel diagnosticarli rappresentano i veri strumenti di prevenzione.

Avvelenamenti nei piccoli animali: cause, sintomi e terapie

Gli avvelenamenti rappresentano una delle più comuni emergenze in medicina veterinaria dei piccoli animali. Molti agenti tossici sono reperibili in ambiente domestico e spesso vengono ingeriti accidentalmente da cani e gatti. La gravità del quadro clinico dipende da fattori come il tipo di tossico, la quantità ingerita, la specie, l’età e le condizioni generali dell’animale.

1. Cioccolato

Il cioccolato contiene metilxantine (teobromina e caffeina), molecole con attività stimolante sul sistema nervoso centrale e cardiovascolare.

  • Dose tossica: nel cane varia da 100 a 200 mg/kg di teobromina; il cioccolato fondente e quello da pasticceria sono i più pericolosi.

  • Sintomi clinici: agitazione, tremori, poliuria, tachicardia, aritmie, vomito, diarrea, ipertermia; nei casi gravi convulsioni e morte.

  • Terapia: induzione dell’emesi entro 2 ore dall’ingestione (se l’animale è cosciente e non ci sono controindicazioni), lavanda gastrica, somministrazione di carbone attivo ripetuto, fluidoterapia endovenosa, controllo della frequenza cardiaca (beta-bloccanti) e dei sintomi neurologici (benzodiazepine).

 

2. Xilitolo

È un dolcificante naturale presente in caramelle, gomme da masticare, prodotti da forno e dietetici. Nei cani provoca una massiccia liberazione di insulina con conseguente ipoglicemia e, a dosaggi più elevati, necrosi epatica acuta.

  • Sintomi clinici: debolezza, atassia, vomito, tremori, convulsioni; successivamente ittero, coagulopatie ed encefalopatia epatica.

  • Terapia: monitoraggio della glicemia, somministrazione endovenosa di glucosio a infusione continua, epatoprotettori, fluidoterapia intensiva. Prognosi riservata nei casi complicati da danno epatico.

 

3. Farmaci ad uso umano

L’autosomministrazione di farmaci da parte del proprietario è una delle principali cause di avvelenamento.

  • Paracetamolo: particolarmente tossico nei gatti, che non possiedono le vie metaboliche per coniugarlo. Determina metemoglobinemia e necrosi epatica centrolobulare.

  • FANS (ibuprofene, aspirina, naprossene): causano ulcerazioni gastrointestinali, insufficienza renale acuta e alterazioni della coagulazione.

  • Sintomi clinici: vomito ematico, abbattimento, mucose pallide o cianotiche, anoressia, poliuria/polidipsia, dolore addominale.

  • Terapia: induzione del vomito se indicato, carbone attivo, fluidoterapia endovenosa aggressiva, gastroprotettori, antiemetici, acetilcisteina come antidoto specifico nel caso di intossicazione da paracetamolo.

 

4. Rodenticidi

Anticoagulanti cumarinici (warfarin, bromadiolone, brodifacoum)

  • Meccanismo d’azione: inibiscono la vitamina K e la sintesi dei fattori della coagulazione II, VII, IX e X.

  • Sintomi: emorragie spontanee (epistassi, ematomi sottocutanei, emorragie interne), pallore delle mucose, dispnea da emotorace o emoperitoneo.

  • Terapia: antidoto specifico con vitamina K1 per via orale o sottocutanea, per un periodo di 3-6 settimane.

Rodenticidi neurotossici (alfa-cloralosio, stricnina)

  • Sintomi: convulsioni, iperestesia, rigidità muscolare.

  • Terapia: sedativi (diazepam, barbiturici), fluidoterapia, controllo della temperatura corporea.

 

5. Piretroidi e permetrine

Molti prodotti antiparassitari per cani contengono piretroidi che sono altamente tossici per i gatti, incapaci di metabolizzarli correttamente.

  • Sintomi clinici: ipersalivazione, tremori, convulsioni, ipertermia, midriasi.

  • Terapia: lavaggio cutaneo immediato con shampoo delicato, sedazione con benzodiazepine o metocarbamolo, supporto intensivo con fluidi e controllo della temperatura.

 

6. Piante tossiche

  • Lilium spp. (giglio): causa insufficienza renale acuta fatale nei gatti.

  • Nerium oleander (oleandro): contiene glicosidi cardiotossici simili alla digitale.

  • Ciclamino, azalea, poinsettia: provocano sintomi gastrointestinali, neurologici o cardiaci.

  • Terapia: decontaminazione (emesi, carbone attivo), fluidoterapia, terapie sintomatiche specifiche a seconda della tossina.

 

Gestione clinica del sospetto avvelenamento

  • Anamnesi accurata: identificare tossico, quantità, tempo di ingestione.

  • Stabilizzazione del paziente: vie aeree, respirazione, circolo.

  • Decontaminazione: emesi, lavanda gastrica, carbone attivo, catartici se indicati.

  • Terapia sintomatica e di supporto: fluidoterapia, correzione di squilibri elettrolitici e acido-base, anticonvulsivanti, cardioprotettori.

  • Antidoti specifici: da somministrare tempestivamente quando disponibili.

 

Conclusioni

Gli avvelenamenti nei piccoli animali rappresentano un’emergenza che richiede diagnosi rapida e terapia mirata. La collaborazione del proprietario è fondamentale: portare con sé la confezione del prodotto ingerito e recarsi immediatamente dal veterinario aumenta le possibilità di successo terapeutico. La prevenzione rimane la strategia più efficace: custodire in modo sicuro alimenti, farmaci, sostanze chimiche e piante tossiche è il primo passo per proteggere cani e gatti.